Le ostriche
di San Damiano

Ironia, scuola e imprevisti della vita

lfredo Panzini (1863-1939), figura tra le più singolari della nostra prosa fra Otto e Novecento, appartiene a quella generazione di scrittori che hanno vissuto sulla propria pelle l'eredità della scuola carducciana – fatta di disciplina formale, di persuasione civile, di fede nei classici – ma che, al tempo stesso, si sono trovati ad attraversare una modernità inquieta, ironica, disillusa. La novella Le ostriche di San Damiano, della quale proponiamo qui la lettura, ne riassume in modo esemplare gli elementi caratteristici della narrativa. ✦

Il maestro ingombrante, la vita reale stentata, gli anni di insegnamento nei ginnasi italiani, la fatica quotidiana, la minuta inquietudine borghese: tutto ciò confluisce nelle pagine del Panzini, insieme diaristiche e inventate, lievi e malinconiche, sorridenti e autoconsumate da un fondo di disincanto che Aldo Borlenghi ha definito «umorismo non diretto a uno scopo preciso», ma sorta di pulsazione esistenziale, di vibrazione sottile del sentimento.

La novella, tratta da Piccole storie del mondo grande (1901), introduce alla narrativa del Panzini migliore: il gusto autobiografico, la vena ironica, la bonaria satira di costume, l'arte di rendere amabile persino la stanchezza di vivere. Ed è anche, come sempre nei suoi testi più riusciti, una sommessa apologia dei "semplici": degli studenti difficili, dei professori che non arrivano a fine mese, degli uomini che non sanno stare al passo con un'Italia che corre più veloce dei loro ideali.

L'episodio narrato è semplice: un professore affamato entra in un raffinato restaurant, viene trattato con un'attenzione quasi regale e crede di essere capitato, una volta tanto, in un'oasi di buon cuore gastronomico. Solo alla fine scopre l'arcano: il proprietario è un suo ex studente che aveva "schiacciato" agli esami… e che ora gli rende la giusta mercede.

Un apologo sorridente – ma non senza un retrogusto agrodolce – sull'autorità, sulla memoria scolastica, sull'ironia della vita; tra citazioni letterarie e un bicchiere di melancolìa.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO*
Testo : 1/11

Questa semplice e faceta istoria non è toccata a me, che scrivo, ma ad un signore a me prossimo per sangue e per la grande stima e il più grande affetto che nutro verso di lui, giacchè egli è uomo di singolari virtù; le quali sarebbero più conosciute e pregiate nel mondo se un certo disdegno naturale verso gli errori e le umane vanità, una melanconica abitudine di vivere a sè e di nutrirsi, per così dire, della sua coscienza, una cotale timidezza e a volte asprezza verso gli altri, non velassero lo splendore di queste virtù e ne occultassero sin anche il profumo.

Ma basti dire di lui e veniamo alla istoria che io per facilità di racconto riferirò in prima persona: ma avverto ancora che non si tratta di me; prova ne sia questa: che io sono assai temperato nel vitto e mi sostenterei come un hidalgo con un pugno di ulive secche, mentre l'amico mio qui fa la figura di uno che è molto goloso: vizio spiacente quant'altri mai, come definisce Dante nel canto di Ciacco Fiorentino: e cominciamo senz'altro:
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* Alfredo Panzini. Le ostriche di San Damiano. In: Piccole Storie del Mondo Grande. Treves, 1920, p. 93-110. (Le note a pie' di pagina sono nostre aggiunte)

Il narratore premette che la storia non riguarda lui, ma un parente "di singolari virtù", schivo, timido, solitario. Poiché il racconto richiede agilità, la narrazione sarà tuttavia condotta in prima persona: espediente ironico per trasformare un aneddoto familiare in una piccola memoria personale.

🔎  Panzini apre con uno dei suoi topos prediletti: la schermaglia autobiografica. Come segnala Borlenghi, egli vive sempre una duplice tensione – da un lato la confessione diretta, dall'altro il travestimento ironico – che costituisce la "zona elastica" della sua prosa diaristica. Il racconto sembra autobiografico, ma non vuole mai diventarlo davvero: è «una fuga sentimentale che riaffiora nella forma dell'umorismo».
L’allusione all'"hidalgo" va compresa in questa chiave: non è semplice colore, ma un autoritratto ironico. L'hidalgo è il nobile spagnolo della tradizione secentesca, fiero ma poverissimo, che vive di frugalità cavalleresca (nelle pagine del Don Chisciotte, spesso di poco più che un piatto di olive secche). Panzini se ne serve per contrapporre la sua sobrietà "aristocratica" alla golosità dell'amico, giocando sul contrasto tra ascetismo letterario e vizio dantesco di Ciacco.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 2/11

Avevo fame quella mattina: più fame del consueto, prima perchè spirava dal cielo terso d'aprile un'aura montanina che faceva amabilmente accapponar la pelle, e poi perchè l'ora dell'asciolvere1 era stata ritardata di un buon quarto d'ora per esser dovuto andare all'ufficio delle Finanza a ritirare lo stipendio.

Del resto è incredibile quanto conferisca a temprar l'appetito l'abitudine di sfiatarsi un poco co' giovani nella scuola; e anche i polmoni se ne avvantaggiano tanto! Quella mattina poi mi ero quasi commosso a spiegare il canto di Romeo di Provenza2 e avea bisogno vivissimo di rifarmi.

E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe,
mendicando sua vita a frusto a frusto...
3

"...Proprio così!... Ma sì, entriamo qui: una volta tanto non è la morte di nessuno. Che cosa si spenderà di più? Una lira, due a dir molto: e d'altronde non toccammo oggi lo stipendio? nonne meruimus hodie stipendia?"4
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1 l'ora dell'asciolvere: l'ora della colazione. È un arcaismo di origine latina: sciogliere il digiuno.
2 La scelta di questa figura dantesca non è fatta a caso. Romeo di Villanova è il personaggio del Paradiso (VI,140-146) che, secondo la leggenda, dopo aver reso tanti benefici al re di Provenza Raimondo Berengario, è costretto, dall'ingratitudine dei Provenzali, a mendicare l'elemosina.
3 a frusto a frusto: a tozzo di pane, a tozzo di pane (ibidem).
4 «Forse che non abbiamo ricevuto oggi lo stipendio?». Notare i frequenti e scherzosi richiami scolastici.

Il professore è affamato come non mai. L'aria d'aprile, la lezione appassionata su Romeo di Provenza, e soprattutto il ritardo della colazione per ritirare lo stipendio, hanno contribuito a scavargli nello stomaco un buco rombante. L'idea di concedersi un pranzo "speciale" sembra quasi un risarcimento morale.

🔎  La fame – fisica, metafisica, pedagogica – è uno dei temi costanti dei bozzetti dell'autore. Il professore si affatica "sfiatandosi coi giovani": è un lavoro che non nobilita, ma che, ironicamente, stimola l'appetito. Qui si vede quel realismo umile di cui parla Borlenghi: non più carducciano, non più lirico, ma «espressione diretta del disagio di vivere».

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 3/11

E così dicendo fra me, senza dar tempo ad un più savio pensiero di ritornare su la deliberazione già presa, spinsi con coraggio la vetriata di uno dei più eleganti e rinomati restaurants della città, e mi trovai in una magnifica sala dove de' bellissimi divani di velluto cremisi davanti a larghi tavoli scintillanti di stoviglie e di candidi lini, invitavano ad assidersi con tutta pace. E debbo confessare che ad entrare di preferenza in quel caffè restaurant mi avea indotto la reputazione della squisitissima cucina; e ne volevo fare esperienza personale e vi sarei venuto prima se non soffrissi di una certa "animadversione", come si direbbe latinamente, verso i camerieri, i quali dall'alto dei loro colletti puntati contro i menti sbarbati, vi squadrano, vi leggono la storia della vita lì su due piedi, vi dicono cogli occhi press'a poco così: "Tu non sei un milionario, tu non sei un nobile, tu non sei uno scavezzacollo,5 tu non sei un impresario di femine, tu non sei un affarista; tu hai tutta l'aria di un povero galantuomo che tira la vita coi denti, oibò! Qual vento ti ha quivi sbattuto fuor del tuo costume? Sbrigati e vattene!" e non dicono grazie nè anche se voi lasciate sul piatto una lauta mancia di venti centesimi.6

Così io pensava, ma vedi giudicio uman come spesso erra!7 Non appena la mia persona comparve nella sala, che subito il padrone (senza dubbio era il padrone) che troneggiava su di un alto banco di marmo, si levò dal suo beato scanno8 e venne verso di me e mi fece un graziosissimo inchino e mi sorrise in atto pieno di deferenza.
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5 scavezzacollo: scapestrato, che vive di espedienti; come per dire che in certi ristoranti di lusso si avvicenda una strana categoria di avventori: nobili, ricchi, affaristi, avventurieri.
6 Ai valori di inizio Novecento, venti centesimi potevano essere considerati una mancia generosa per un ristorante popolare; per un ristorante elegante, una cifra normale o addirittura bassa; per un insegnante, decisamente lauta.
7 ma vedi giudicio...: la frase è dell'Ariosto (Orlando Furioso, Canto I) e ci riporta a quel clima saturo di letteratura entro cui insistentemente l'autore vuol farci penetrare: è il vezzo di molti professori quello di infiorare ogni parola di citazioni classiche.
8 beato scanno: anche questa – la quarta in poche righe – è una citazione desunta dalla Divina Commedia (Inf.,II,112), e serve ancora a creare un'atmosfera vieppiù ironica attorno a tutto il racconto.

Il professore entra in un restaurant elegante, guidato dalla fama della cucina. Il locale è lussuoso, il personale impeccabile, il padrone giovane e vigoroso. Tutto suggerisce abbondanza e cortesia.

🔎  Il quadro è filtrato attraverso una lente ironico-letteraria: il narratore parla come un professore che non riesce a liberarsi dalle sue citazioni ("nonne meruimus hodie stipendia?"). È quello che Borlenghi chiama «il gusto aulico in contrasto con la minuta realtà borghese»: un professore che non sa vivere senza ammantare di latino anche la sua fame.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 4/11

Era costui un bellissimo giovane di primo pelo, elegante, lindo,9 fresco che pareva un sorbetto, e così ben nutrito, così roseo, così florido che faceva proprio onore al locale. "Se i beccacchi e le quaglie del tuo restaurant hanno la carne delicata come la tua, non è usurpata la fama che di te s'ode; ma guardati, giovane amico, dall'intraprendere alcun viaggio di scoperte in terre ignote, perchè se tu capitassi, per tua mala sorte, fra i Lestrigoni o gli Antropofagi,10 non io certo ti farei garanzia del ritorno!" Così gli dissi col pensiero, rispondendo con ugual sorriso e saluto al suo sorriso. Ed egli, rinnovando il sorriso, fece alcuni segni cabalistici11 ad un cameriere, così snello e ben azzimato anche lui che in tutt'altro luogo lo avrei barattato per un onorevole deputato giovane o per un conferenziere di dame o per un ben lisciato esteta che si appresti a svelare i simboli della sua meravigliosa psiche alle turbe estatiche: ed era un cameriere!
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9 Il padrone è giovanissimo (di primo pelo) e ricercatamente pulito (lindo).
10 Lestrigoni e Antropofagi: sono i giganti cannibali dell'Odissea.
11 segni cabalistici: cenni incomprensibili e misteriosi. Scopriremo solo alla fine il motivo di tanto mistero.

Il professore è affamato – affamatissimo – e la sua visione del mondo è "gastronomicamente orientata". Così, il padrone del restaurant non è percepito come un uomo, ma come una vivanda vivente: lindo, fresco, rosa in volto, ben nutrito, appetitoso come un dessert.

🔎  Merita soffermarsi sul modo in cui il professore osserva il padrone del locale e il suo cameriere. L'uno, «bellissimo giovane di primo pelo, elegante, lindo, fresco che pareva un sorbetto», è descritto con un entusiasmo quasi gastronomico: non si capisce più se Panzini stia parlando di lui o delle sue quaglie arrostite. La similitudine con i Lestrigoni o gli Antropofagi – i giganti cannibali dell'Odissea – fa sorridere, tanto più che nasce da una fame ormai mitologica: il professore ha talmente appetito da proiettare persino sui classici la propria smania di cibo. È il culto dei classici che siede a tavola.
L'altro, il cameriere, contribuisce al gioco delle apparenze: «snello e ben azzimato», tanto da poter essere confuso per "un deputato giovane", "un conferenziere di dame" o "un esteta ben lisciato". È l'arte panziniana di ribaltare i ruoli: il cameriere sembra l'intellettuale, mentre il professore è intimidito, quasi in soggezione. È un piccolo teatro rovesciato, e molto moderno, dell'Italia borghese in ascesa (vedansi anche le osservazioni sull'autorevolezza dei camerieri nel brano precedente: "i quali dall'alto dei loro colletti puntati contro i menti sbarbati, vi squadrano, vi leggono la storia della vita lì su due piedi...").
Il ristorante, come la vita, è un palcoscenico in cui si mescolano maschere e identità provvisorie. L'antropofago evocato per scherzo dal professore è, in fondo, lui stesso: un uomo affamato che guarda il mondo attraverso il filtro della propria voracità e delle proprie letture.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 5/11

Il quale mi seguì, mi tolse il pastrano, il cappello, il bastone, mi guidò presso un tavolo appartato e quasi libero, perchè vi erano solo due inglesi silenziosi, intenti a mangiare, ma con tanto garbo che parevano inghiottire delle pillole del farmacista.

Dicevano ogni tanto yes, e io non poteva a meno di meditare come questa gente inglese che mangia con tanta delicatezza e pudore, divori poi con tanta ingordigia nazioni e popoli.

I due avventori inglesi, composti come statue di tè delle cinque, mangiano con un pudore quasi clinico, "inghiottendo pillole del farmacista": una caricatura gentile dell'aplomb britannico, che alla fine dell'Ottocento era già uno stereotipo continentale.

Ma l'osservazione successiva rovescia bruscamente il quadro: quella stessa nazione che ostenta misura e raffinata buona creanza a tavola, "divora poi con tanta ingordigia nazioni e popoli". È un giudizio che nasce dal clima storico dell'epoca: tra il 1880 e il 1905 l'Impero britannico raggiunge il suo culmine territoriale, dominando un quarto del globo.

"Divoratrice di nazioni e popoli", riferito all'Inghilterra, era perciò una metafora che chiunque, nell'Italia post-unitaria, percepiva come immediata. Così, con una pennellata rapida, Panzini non rinuncia ad assestare un colpo al paradosso etico dell'imperialismo: l'Inghilterra civile, ordinata, educata si regge su una fame espansionistica che non ha nulla di pudìco.

👉 All'inizio del XX secolo, l'Impero britannico era la più grande potenza coloniale al mondo, governando circa un quarto della popolazione globale. La sua configurazione geografica si articolava su più continenti con una serie di territori diversificati secondo tipologie di dominio: colonie, domini autonomi, protettorati e mandati.
In Asia, l'Impero includeva l'India britannica, con gli odierni India, Pakistan, Bangladesh, Myanmar (Birmania), Hong Kong, Malesia e Singapore. In Africa, controllava il Sudafrica, il Kenya, l'Uganda, lo Zambia, lo Zimbabwe, il Ghana, la Nigeria, l'Egitto e il Sudan. In America, pur avendo perso le colonie americane del Nord (USA) nel XVIII secolo, manteneva territori nei Caraibi, come la Giamaica, le Bahamas e Barbados, oltre a dominare il Canada come dominio autonomo dal 1867. In Oceania, l'Australia era formalmente diventata un dominio autonomo nel 1901, mentre la Nuova Zelanda seguì nel 1907. Entrambi facevano parte dell'impero con status di maggiore autonomia rispetto alle colonie. Altri territori minori, isole e protettorati erano sparsi nei Caraibi, nell'Oceano Indiano e nel Pacifico.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 6/11

Come mi fui seduto, il cameriere, stando a me di fronte e posando a pena le palme sul tavolo, disse:

– Vuol cominciare con un assaggio di pâté coi tartufi?12 È stato tolto dal gelo in questo momento. Lo troverà squisitissimo. – Veramente non disse "squisitissimo": disse "splendido": anzi io ho ancora nell'orecchio il ronzio di questa parola che egli ripeteva ad ogni frase.

– Cominciamo com'ella dice! – risposi io.

– E vino quale desidera? V'è del Barolo in bottiglia che è molto buono.

– Non ne dubito, ma a me basta un poco di vino comune.

– Va benissimo.

E subito dopo mi metteva davanti sul suo reggifiasco di lucidissimo metallo, un fiasco di vino toscano che portava scritto su di un cartellino: "Vino di Chianti stravecchio".

– Ma quest'è troppo, – diss'io, – e poi deve essere carissimo...

– Tutt'altro, signore! – rispose il tavoleggiante,13 – e poi ella ne berrà quanto crede.

E versando io lieve, lieve, il fragrante liquore in un calice sottile di cristallo e sorbendo, trovai di fatto che era un vino prelibatissimo e mi ricordai del ditirambo del Redi14 là dove dice:

Montepulciano d'ogni vino è il re!

Anche il pâté, benchè cibo pruriginoso e inusitato15 al mio gusto, era di rara finezza, e spalmandone alcuni crostini, dicevo a me stesso che un cuoco il quale sa allestire simili manicaretti, è pur degno della riconoscenza de' suoi simili. Terminato il detto cibo, il cameriere comparve e col suo garbato sorriso mi disse:

– Ora le consiglierei una minestra di cappelletti di Bologna: sono giunti freschi stamane e sono ora sul punto buono di cottura.

Non mi parve cortesia rifiutare un consiglio così disinteressato, e accettai i cappelletti, i quali ebbero la medesima buona accoglienza del pâté coi tartufi.

– Adesso, signore, io le porterò una quaglia arrostita con contorno di funghi...

Io ne avea già abbastanza e l'abituale mia sobrietà non eccedeva oltre a un piatto e un brodo a colazione: ma quel pâté avea malauguratamente allargato i posti del ventricolo16 e d'altronde il fermarsi lì alla minestra mi parea da pitocco.17 Vero è che le parole "una quaglia coi funghi" mi avevano dato l'idea di un prezzo vertiginoso e non conforme alla mia borsa.

Ma il cameriere che conobbe e lesse in volto il mio dubbio, si affrettò a dire:

– È una specialità della casa!

Come si poteva dir di no? E feci buon viso anche alla quaglia, la quale era degna della sua buona rinomanza e non ebbe altro torto se non quello di far scendere il livello del vino nel fiasco ed aumentare una certa nebbia18 nel mio cervello.
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12 pâté coi tartufi: pasticcio di fegato d'oca con tartufi.
13 tavoleggiante: garzone che serve gli avventori seduti ai tavolini dei caffè.
14 ditirambo del Redi: Francesco Redi (1626-1697) è famoso autore di ditirambi (componimenti poetici in onore di Bacco), tra cui celebratissimo è il Bacco in Toscana, ove il poeta immagina che Bacco, di ritorno dall'Oriente, si fermi in Toscana per assaggiare quei vini, tessendone l'elogio e dandone la palma a quello di Montepulciano.
15 pruriginoso e inusitato: appetitoso e insolito.
16 ventricolo: stomaco.
17 pitocco: tirchio, spilorcio.
18 certa nebbia: un po' d'offuscamento dovuto alle abbondanti libagioni.

Il cameriere consiglia pâté, vino Chianti, cappelletti, quaglia arrosto. Il protagonista – pur sobrio per natura – si lascia convincere, temendo di sembrare misero. E ogni piatto è eccellente.

🔎  Panzini gioca con il crescendo gastronomico, quasi fosse un poema della gola. Ma dietro la comicità leggera si sente la precarietà del professore di prima generazione: il ceto intellettuale basso della scuola post-unitaria, stipendiato male, ma pieno d'orgoglio – una figura di cui Panzini è interprete magistrale, secondo Borlenghi, proprio per la sua capacità di trasformare il quotidiano in "storia sentimentale".

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 7/11

– Adesso basta, poi, signor mio! – dissi al cameriere quando, sparecchiato che ebbe gli avanzi della misera quaglia (chè nulla è più melanconico a vedersi dei residui del pasto) mi ebbe posto dinanzi un piattello che parea d'argento, dove sopra un fino tovagliuolo si pavoneggiavano e, ne' loro larghi gusci di madreperla, nuotavano sei ostriche intatte, lattee e di non comune grandezza e purezza.

– ...e poi cotesto io non l'ho ordinato! — aggiunsi con giusto sentimento di sdegno.

– Verissimo, signore, – fu sollecito a ribattere il cameriere con una grazia degna di un gentiluomo, – ma sappia ella – e abbassò la voce – che queste ostriche sono fuori del conto. Oggi – e abbassò ancora la voce – è San Damiano...

– Verissimo; ma io non ho mai udito dire che le ostriche abbiano un santo protettore, e di tal nome.

– No, signore, non le ostriche! Ma il figlio del padrone del caffè si chiama Damiano: quindi è il suo giorno onomastico, ed è consuetudine di offrire in questa occasione una qualche delicatezza ai signori avventori che ci onorano in questo giorno di festa per la famiglia.

Che si poteva rispondere? Avrei potuto opporre dei dubbi su la veridicità di tale asserzione, ma levando gli occhi dal prezioso piattello e dirigendoli verso il banco, vidi quell'egregio giovane che rispondeva all'a me venturato nome di Damiano e già mi guardava, sorridermi tutto come dire: "Creda: è così, come afferma il cameriere: ella può mangiare senza tema di contrarre alcun obbligo o servitù!"19

Che più?

Io presi delicatamente con le dita uno di que' preziosi molluschi (e mandavano un profumo di alghe marine e di fresche onde oceaniche) e lo inghiottii d'un solo boccone di cui mi dura ancora la dolcezza nel cuore, come dice il divino poeta:20 ma il verso, oh, vedi triste effetto delle eccessive libazioni! non mi riuscì di formularlo per intero.

E anche le restanti cinque ostriche subirono la medesima sorte della prima, e l'una era più squisita dell'altra.

"L'uomo vorace e ingegnoso – pensava tra me – mette a contribuzione la terra, l'aria ed il mare per soddisfare i propri appetiti: e benchè il vizio della gola sia spregevole e indegno della umana dignità, certo è che l'inferma nostra natura vi cade più spesso che non convenga;" e quei gusci d'ostrica mi richiamavano in mente quella lirica bellissima dello Zanella21 che ha per titolo: Sopra una conchiglia fossile:

Vagavi co' nautili,
co' murici a schiera
e l'uomo non era!
22

versi che non mai come allora mi erano parsi tanto pieni di reconditi sensi!
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19 servitù: termine giuridico; ma qui sta semplicemente per impegno, s'intende, a ricambiare il favore, a pagare.
20 il divino poeta: Dante Alighieri. Ma la citazione non gli esce precisa ed esatta. Triste effetto delle eccessive bevute! (Par., XXXIII, 61-63).
21 Giacomo Zanella (1820-1888) di Vicenza, abate, poeta e letterato di gusto neoclassico: celebre la sua ode Sopra una conchiglia fossile.
22 Tu o conchiglia vagavi, unitamente ad altre, coi nautili (molluschi cefalopodi) e coi murici (molluschi gasteropodi) mentre l'uomo non era ancora nato. Anche da questa citazione, affiora l'ironia dell'autore, intesa a ridicolizzare benevolmente la irriducibile manìa di citazioni classiche di ogni professore-letterato.

Arrivano le ostriche: dono della casa, per festeggiare l'onomastico del figlio del padrone, appunto Damiano. L'offerta sembra generosa e inspiegabile, ma il professore accetta incantato (e declama versi veraci).

🔎  Le ostriche, simbolo di lusso marino, diventano qui materia di un piccolo paradosso morale. L'umorismo è nel travisamento: l'eccesso di attenzione verso il cliente ha un sottofondo teatrale, quasi cabalistico. Il Panzini di queste pagine è maestro nel creare atmosfere di sospensione, dove qualcosa non torna – ma la bontà della tavola mette tutto a tacere.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 8/11

E il cameriere mi tolse que' gusci e mi pose davanti una fruttiera ricolma di mandarini, di datteri e di altre prelibate e rare frutte di questa sacra terra, madre di ogni cosa bella e buona.

Nè io potei dire: "ricuso la frutta!" giacchè dopo un pasto così signorile sarebbe parsa cosa sconveniente. Però in tanta beatitudine un pensiero acerbo mi trafiggeva e pensavo che il guadagno giornaliero che l'arte mia di professore mi procura, non sarebbe stato sufficiente a pagare una così lauta imbandigione. Di fatto tutte quelle vivande dovevano superare il prezzo di lire cinque e ottanta centesimi, della qual somma posso ogni dì liberamente disporre dopo dodici anni di professione magistrale.23

E siccome questo dubbio amareggiava l'opera piacevole della digestione, così me lo volli togliere e chiamai il cameriere.

– Comandi, signore!

– Il conto!

Il cameriere tolse dallo sparato24 il suo taccuino di pelle nera, brandì un terribile lapis (e in quel punto i biglietti di Banca, nuovi, riscossi poco prima alla Finanza, perdettero del loro colore, impallidirono).

– Subito fatto, signore; la colazione a prezzo fisso due e cinquanta, il vino – sbirciò il fiasco a pena – mezza lira: tre lire in tutto.

Respirai liberamente.

– Non si potrebbe essere più discreti: verrò, signore, molto di sovente, – ebbi a dire, e la lode volle uscire spontaneamente.

– Sistema della casa, – disse con semplice modestia quel valoroso tavoleggiante.

– Allora mi porti il caffè.

– Desidera anche un bicchierino di cognac?

– Perchè no? Volentieri: semel in anno...25

Ma quel benemerito cameriere se ne era andato, e quando ritornò co' vassoi, mi sussurrò all'orecchio:

– Desidera un sigaro di contrabbando? ho degli Avana hors ligne.26

– È illegale,27 – diss'io.

– Oh, per codesto può star tranquillo: il signor Procuratore generale che viene qui a pranzo, non fuma che i miei Avana: anzi ne fa provvista.

– Quand'è così: regis ad exemplum totus informabitur orbis...28

E il non mai dimenticabile cameriere mi incendiò un Avana meraviglioso: la cui nebbia azzurrognola e lieve, commista alla nebbia del vino e del liquore, mi assopì lievemente con un senso di beatitudine infinita.

"Il mondo è bello e santo è l'avvenir! – ripeteva fra me col grande poeta:29 – sì, certo, il mondo è bello", e non sentivo più alcun rumore intorno a me, benchè la sala fosse piena di gente.
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23 magistrale: d'insegnante.
24 sparato: vestito aperto sul petto.
25 semel in anno licet insanire: una volta l'anno è lecito commettere una pazzia.
26 hors ligne: fuori dal comune, serie speciale.
27 è illegale: dal 1862, lo Stato esercitava il monopolio sulla fabbricazione e la vendita di tutti i tabacchi lavorati, inclusi i sigari importati. Gli Avana (cioè i sigari cubani) erano beni soggetti a fortissima imposizione fiscale, e quindi molto costosi. Il loro contrabbando era un fenomeno diffusissimo nella prima età Giolittiana, soprattutto nei caffè eleganti, dove i camerieri più "intraprendenti" arrotondavano lo stipendio offrendo pezzi non registrati.
28 regis ad exemplum totus informabitur orbis: il mondo intero sarà modellato sull'esempio del re (cit. da Claudiano di Alessandria). Come dire: se lo fa il signor Procuratore generale...
29 Ancora un'altra citazione! È un verso del Canto dell'amore di Giosue Carducci.

Né rifiuta la frutta, e per fortuna il conto, in barba ai timori, è sorprendentemente basso. Il professore respira, elogia il "sistema della casa", accetta caffè, cognac e persino un Avana di contrabbando.

🔎  È il momento di maggiore comicità. Lo stile di Panzini ricorda un po' l'umorismo inglese: trattenuto, mai farsesco, venato però – come osserva Borlenghi – di "un'ombra di inquietudine", quella dell'intellettuale povero che sogna una vita più larga del suo stipendio.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 9/11

Quand'ecco, un po' alla volta, piano piano, percepii che la seggiola che mi era di fronte si muoveva, aprii gli occhi e scorsi il giovane Damiano che si sedeva timidamente davanti a me.

"Che vuol costui?" dissi fra me, aprendo gli occhi.

Sorrideva, vidi che sorrideva di compiacenza e di affetto nel florido volto, ma poi sentii queste acerbe parole che mi sconvolsero la digestione.

– Signor professore, ella vedo che non mi riconosce più... Io invece la conosco benissimo!

– Ahimè! – sospirai nel mio cuore – dolcezza dell'incognito troppo fugacemente scomparsa!

– In verità, no, signore, non ho questo onore! – balbettai.

Sorrideva sempre:

– Sono stato suo scolaro dieci anni fa: ma lei vedo che non si ricorda più della mia fisonomia, ma io mi ricordo benissimo di lei, signor professore.

Io tornai a sospirare nel cuore più profondamente e da quell'uomo di delicatissimo sentire che sono, mi vergognai di essere colto nello spiacente vizio della gola da un mio scolaro: pur tuttavia risposi:

– Le sono grato e lieto della memoria, anzi gratissimo; ma tanti giovani sono passati sotto di me che stento a ricordarmene singolarmente.

– Oh lei se ne deve invece ricordare benissimo, signor professore, – insistette colui con più ineffabile sorriso.

– Creda!... e misi la mano sul petto.

– Io mi chiamo Damiano Saltori... Questo nome dovrebbe ricordarle qualcosa! – Attese un istante e poi pronunciò queste terribili parole: – Ella, signor professore, mi bocciò inesorabilmente all'esame dalla terza alla quarta ginnasiale. Anzi lei diceva "schiacciare" e non "bocciare". Vede se mi ricordo.

"Non si ricorda di me, signor professore? Io sì, non l'ho mai dimenticata". È il giovane Damiano, che, preso posto di fronte a lui, sorridente e con tono affettuoso lo ridesta dal momentaneo assopimento. Il professore, ancora intorpidito dal fumo dell'Avana e dai suoi pensieri, lo guarda senza riconoscerlo, mentre quello gli confessa di essere stato suo allievo dieci anni prima.

Gli racconta – e qui il professore comincia lentamente a collegare i ricordi – che lui lo aveva bocciato agli esami di terza ginnasio. Gli dice: "Due quattro, professore… ricorda? Ai quali volevano tirare il collo per farli diventare due sei. E lei duro! Senza cedere!". Sorride, ma è un sorriso pieno di nostalgia: quell'episodio non gli ha mai più fatto male come allora.

A poco a poco, mentre il giovane rievoca gli avvenimenti, il professore ricompone la scena nella memoria: la lite con il padre del ragazzo, che voleva a tutti i costi "salvare" l'anno; il deputato, cliente del caffè, che arrivò a reclamare gli elaborati in presidenza per portarli addirittura al Ministero; la minaccia di un ricorso. Era stato, in effetti, l'onorevole tal dei tali… ma meglio tacerne il nome.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 10/11

"Che tradimento è questo?" pensai fra me sobbalzando.

Addio dolcezza della digestione! Non so che risposi, ma certo mi confusi e dovetti rispondere così press'a poco:

– Scusi, non l'ho fatto a posta! Se proprio fu così, me ne rimorde il cuore! Sinceramente!

– Ma io le devo la vita, signor professore! – esclamò allora con mia somma sorpresa il giovane al colmo dell'entusiasmo – io le devo il mio presente benessere, la mia fortuna: quante volte avrei voluto fermarla per la via e manifestarle la mia riconoscenza, ma me ne mancò il coraggio; adesso invece che ella è entrato nel mio esercizio30 mi sono permesso...

– Io non capisco... – risposi tuttavia turbato, giacchè temevo che quel mio antico scolaro si ricordasse di quella figura retorica che va sotto il nome di "ironia".31

– Oh, è una cosa chiara: chiara come il sole: si ricorda quello che lei mi diceva?

– Io? no, signore!

– Lei mi diceva: tu sei un buono e bravo figliuolo, ma per seguire gli studi classici ci vuole qualche cosa di più che l'ingegno, che non hai nemmen quello, ci vuol l'arte: tu arte non ne hai: tu sei un'ostrica. Me lo ricordo, sa?

Arrossii al ricordo delle squisitissime ostriche poco fa divorate, e me le sentii ancora vive coi loro gusci nello stomaco.

– Perdoni, proprio... – dissi al colmo dell'imbarazzo.

– Macchè, lei diceva una santissima verità, – proseguì l'egregio Damiano: – erano i miei genitori che non la volevano capire: dovevo diventare un avvocato ad ogni costo, nobilitare con un titolo di dottore il nome della famiglia, e professori e lezioni in casa! ma già quel latino non mi andava giù, e a fare i còmpiti d'italiano sudavo freddo. E lei mi ha bocciato e ha fatto benissimo.

– Non mi ricordo, signore...

– Non si ricorda, signore, di una scenata che avvenne tra mio padre e lei? di quel deputato nostro avventore, che reclamò dalla presidenza gli scritti per portarli al ministero, della minaccia di reclamare un provvedimento?

Ora di fatto mi ricordavo: era stato l'onorevole... Ma è meglio non farne il nome.
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30 esercizio: bottega, albergo, trattoria, locanda, secondo i casi.
31 Il professore è turbato: che Damiano non stia adoperando la figura retorica dell'ironia per esprimere, appunto sotto un significato letterale positivo, un pensiero di biasimo?

Damiano racconta tutto ciò con vivacità affettuosa, come si ricorda una tempesta ormai lontana; e insiste sul particolare che per lui è stato decisivo: la fermezza del professore. "Lei mi diceva che ero un bravo figliuolo, ma che per gli studi classici ci vuole più dell'ingegno – che già non ne avevo molto – ci vuole l'arte. E io arte non ne avevo. Mi disse che ero un'ostrica. Un'ostrica, professore! Me lo ricordo ancora".

Lo dice ridendo, ma con rispetto sincero: quelle parole, allora dolorose, oggi gli appaiono come una libertà conquistata.

E finalmente svela ciò che intende: quella bocciatura, che sembrava una rovina, è stata invece la sua salvezza. Lo ha liberato da un destino che non era il suo, da quegli studi "per nobilitare il nome della famiglia", da una professione da avvocato, imposta dai genitori, che lui avrebbe vissuto come una prigione. Grazie a quel brusco arresto, si è indirizzato verso il commercio – e lì ha trovato la sua vera natura e, con essa, la prosperità.

Aggiunge che, da allora, più volte è stato tentato di fermarlo quando ne ha avuto l'occasione, perché sentiva il bisogno di ringraziarlo, perché "le devo la vita". Il professore lo osserva, incredulo e un po' imbarazzato da tanta familiarità inattesa.

Infine, lo guarda con uno stupore che si scioglie pian piano in sorriso: e capisce che quel giovane spontaneo e sereno, oggi padrone del locale e di se stesso, gli sta offrendo la testimonianza di una gratitudine che viene da lontano. Una gratitudine non richiesta, libera, limpida.

LE OSTRICHE DI SAN DAMIANO
Testo : 11/11

– E lei duro, – proseguì quel simpaticissimo Damiano, – volevano tirare il collo a due quattro e farli diventare due sei, e lei duro; anche il preside voleva tirare il collo ai due quattro, e lei duro! E mio padre diceva (mi vien da ridere a pensarci): "come? faccio anch'io degli sconti coi miei debitori per delle centinaia di lire, e lei per un punto..."

– Che vuole, signor mio...

– Ma ha fatto benissimo! Dopo, i miei genitori l'hanno capita. Mi hanno mandato come volevo io in Isvizzera, dove ho imparato le lingue e il commercio. Io volevo seguitare a ingrandire l'esercizio di papà e lui voleva invece ritirarsi dagli affari... Oggi come oggi sono felicissimo. Quel Cornelio Nepote32 non mi andava giù...

– Troppo giusto...!

E mi volle lui stesso infilare il pastrano e mi porse il cappello e il bastone e mi pregò di venire spesso a onorare il suo esercizio.

– Io non dimenticherò mai il giorno di San Damiano – diss'io.

– Tutta bontà sua, signor professore! – e mi tenne aperta egli stesso la vetrata, ed io uscii dal restaurant col superbo Avana fra le labbra, come un banchiere o un gentiluomo che non misura certo il danaro per la colazione.
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32 Cornelio Nepote: storico, è l'autore latino spauracchio di tutti gli studenti ginnasiali. Scrisse le biografie dei personaggi più illustri (De viris illustribus): delle quali ci resta però solo il libro dei condottieri stranieri. Damiano Saltori allude evidentemente alla traduzione di queste vite.

Il professore esce dal restaurant come un banchiere, con un Avana magnifico tra le labbra, soddisfatto e quasi felice: ha mangiato, ha bevuto, e perfino la sua severità di insegnante – per una volta – si è rivelata opera di bene.

🔎  La novella trova qui la sua morale, squisitamente ironica e tuttavia profondamente vera. La "bocciatura" diventa fondamento di una vita riuscita: Panzini capovolge l'ansia meritocratica della scuola classica e ne svela il volto paternalistico. Dietro l'umorismo, c'è un ritratto sociale preciso: l'Italia che cresce grazie ai figli del ceto medio commerciale, non grazie ai liceali "forzati".
Ci sono pure la pedagogia bonaria, il paternalismo affettuoso, la comicità che nasce dal candore delle immagini – l'"ostrica"! – e insieme la verità umana: non tutti sono fatti per ogni strada, e talvolta un buon mèntore è colui che ferma invece di spingere.

* * *

📌 Le ostriche di San Damiano è una piccola perla dell'umorismo panziniano. Vi sono condensati tutti gli elementi che Borlenghi individua come caratteristici della sua narrativa:

La bocciatura diventa destino buono. L'ex scolaro riconoscente diventa il benefattore. Le ostriche – inizialmente sospette – diventano simbolo di una generosità inattesa.

E il professore, povero, affamato, pedante, con le tasche vuote e il cuore pieno di citazioni latine, diventa l'eroe candidissimo di un mondo piccolo: un mondo che, proprio perché piccolo, è capace di autentica bontà.

Dietro la leggerezza, però, si avverte anche ciò che Borlenghi segnala come la nota più vera del Panzini maturo: la stanchezza. Il racconto non è soltanto umoristico; è, sotto sotto, la confessione di un uomo che vive "in uno sfasamento fra ideale e reale".

Proprio per questo Le ostriche di San Damiano resta, ancora oggi, delizioso: perché racconta la vita com'è, ma con quello sguardo un po' incantato – e un po' malinconico – di chi non ha mai smesso di credere che anche una giornata storta possa finire con un buon sigaro e un sorriso.

«Ma il sole splende su tutti e non fa pagare i suoi raggi, e poca terra ricoprirà noi come i conquistatori della fortuna e della vita!» (Dalla dedicatoria al volume, 1901)

Fonti dei testi

[ddf, xi-2025]